I FANTASMI DI SAMBUCA DI SICILIA

Nel misterioso borgo di Sambuca in provincia di Agrigento, si aggirano delle figure poco raccomandabili di Saraceni a cavallo. Non sia mai che un fantasma si presenti trasandato e con un mulo: l’abitante dell’oltretomba sarà rigorosamente accompagnato dall’elegante manto dell’equino più bello.

Anche i fantasmi hanno un certo occhio, soprattutto perché per secoli andranno in giro con le stesse vesti, quindi senza dubbio avranno scelto con molta cura l’abito da indossare per l’eternità.

Adagiato su una collina, Sambuca di Sicilia dista 90 km da Agrigento e 78 km da Palermo, si trova nella Valle del Belice, a 350 metri sul livello del mare. Sambuca venne presumibilmente fondato dagli Arabi nel IX secolo, intorno all’830, alle pendici del monte Genuardo e venne chiamato ”Zabuth”, in onore dell’omonimo emiro arabo – il solito egocentrico – Al-Zabuth che aveva fatto erigere in quel luogo un castello.

 

 

Il nome ”Sambuca” potrebbe tuttavia derivare dalle piante di sambuco, diffuse durante l’antichità nella valle del lago Arancio o ancora dal nome latinizzato di uno strumento musicale greco con la forma dell’arpa, Σαμβύκη, sambýkē, che ricorda l’impianto del centro storico del paese ed è raffigurato sullo stemma del Comune.

Sambuca è un mistero già a partire dal nome, questo è chiaro, ma vediamo cos’altro accade di strano in quei luoghi. Nel corso dei secoli, Sambuca fu abitato da Normanni, Svevi, Aragonesi e tanti altri.

La popolazione islamica rimase fino al tredicesimo secolo, fino a quando si ribellò alle operazioni di consolidamento imperiale ordinate da Federico II. La resistenza araba fu stroncata e la strage fu totale.

 

Secondo la leggenda, avvenne un terribile massacro ad opera delle truppe di Federico II contro i residenti islamici. L’odierno quartiere saraceno è dunque il più antico e sotto ogni edificio si trovano grandi cave di pietra, le ”purrere”. Dalle profonde cave di tufo, in età medievale, si estraeva il materiale per le case da costruire.

Vi è, pertanto, una fitta rete sotterranea di cunicoli e grandi stanze: il posto ideale per le scorribande spiritiche. Infatti negli spazi sotterranei, intorno al 1300-1400, furono rinchiusi i Saraceni sopravvissuti, e laggiù finirono i loro giorni.

 

Proprio la prigionia dei Saraceni alimentò alcune credenze popolari. Nei secoli, nei pressi della Casbah intorno al castello di Zabuth, durante la notte venivano avvistati dei fantasmi, che sparivano tra i cunicoli, solcando le strade buie.

La gente testimoniò la presenza di spiriti, ombre e fantasmi a cavallo. Urla, macabri lamenti e pianti, provenivano dai torbidi vicoli, incessantemente, nelle ore notturne.

Nel XVI secolo, precisamente intorno al 1550, per mettere fine a questo orrore, i sambucesi, spaventati, realizzarono nel rilievo roccioso accanto al castello, la piccola cappella dedicata alla Madonna della Scala o della Scalilla, dove si riunivano in preghiera per allontanare i fantasmi.

 

Intorno al 1800 la via principale del quartiere arabo venne chiamata ”via Fantasma”, in memoria della lugubre serie di apparizioni inspiegabili.

Un altro mistero di Sambuca è il fortino arabo che emerge soltanto d’estate dalle acque del vicino
lago Arancio: si tratta del fortino Mazzallakkhar, costruito dai Saraceni come avamposto militare.

 

Nei mesi estivi, quando il livello dell’acqua si abbassa, emergono le torri del fortino, per sparire all’arrivo delle temperature fredde. In definitiva, in quel di Sambuca, tra un cavaliere fantasma e un fortino dal nome impronunciabile che sparisce nei mesi invernali, non ci si annoia mai.

Nonostante il passato tormentato, Sambuca di Sicilia, nel ‘900, è la culla del pittore Gianbecchina, nome d’arte di Giovanni Becchina e, nel 2016, è stato premiato come ”borgo più bello d’Italia”, anche per le caratteristiche arabeggianti riconoscibili nelle strette vie e nei cortili tipici della Casbah.

Oggi a Sambuca facciate barocche e palazzi dell’Ottocento si mescolano al centro storico di origine araba, le cui espressioni più vive sono i vicoli saraceni, detti ”vaneddi” e il terrazzo Belvedere, quello che rimane dell’antico castello dell’emiro Al- Zabuth.

 

Fonte: balarm

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