IL MISTERO DELLE STREGHE DI SORAGGIO

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Nell’estate del 1607, il rettore della chiesa di S. Martino di Soraggio, il presbitero Joannes Paninius, si è recato presso il convento di S. Francesco, tra Pieve Fosciana e Castelnuovo, dove risiede il vicario del Sant’Uffizio per la provincia della Garfagnana, padre Lorenzo Lunardi.

Il rettore ha denunciato che nella sua parrocchia ci sono almeno 60 persone possedute da spiriti maligni e crede che quattro abitanti locali siano streghe.

Le persone coinvolte sono:

  • Lucrezia, moglie di Biagio dalla Villa di Soraggio;
  • Jacopino di Luca da Brica;
  • Maria, figlia di GiovanAntonio di Brica;
  • Maria, ex moglie di Francesco Cappa, anch’essa di Brica.

Il rettore ritiene che queste persone siano streghe perché circolano voci che le collegano a famiglie stregate e si dice che siano in grado di compiere incantesimi malefici.

Il rettore ha citato diversi testimoni pronti a confermare le sue affermazioni e ha aggiunto che un altro segno evidente di colpevolezza è il fatto che queste quattro persone mostrano timore e non osano alzare gli occhi quando incontrano i religiosi.

Il rettore di Soraggio, insieme ad altri religiosi, è costretto ad eseguire frequentemente esorcismi sulle persone possedute, soprattutto donne, che emettono forti rumori e urla durante le preghiere.

Padre Lunardi ha agito prontamente e il 3 luglio si è trovato nella canonica di Soraggio per interrogare i testimoni.

La maggior parte dei testimoni ritiene che le quattro persone citate siano effettivamente streghe, basandosi su voci pubbliche, discendenza e alcuni episodi di cui sono stati testimoni.

Uno dei testimoni, Anastasia di Francesco, vicina di casa di Lucrezia di Biagio, ha affermato di sentire che i figli di Lucrezia la chiamano durante la notte, ma lei non risponde. Pertanto, ritiene che in quei momenti Lucrezia sia fuori con le streghe e immagina che sia coinvolta nella stregoneria. Quando le ha chiesto dove va di notte, Lucrezia ha risposto vagamente che sta fuori a vegliare.

Lucia, moglie di Francesco e anche residente a Villa Soraggio, racconta che un mattino, presso una fonte chiamata “Il Canale”, Lucrezia, una delle accusate, le ha toccato una gamba dicendo: “Oh, che bella gamba hai!”. Quasi immediatamente, sulla gamba è apparso un grande livido e da quel momento in poi la sua vita è diventata molto turbolenta.

Lucia aggiunge che circa otto mesi prima è stata oggetto di un maleficio, ma è stata guarita per grazia di Dio durante la Quaresima. Proprio quando stava migliorando, un’altra imputata, Maria, figlia di GiovanAntonio, si è avvicinata a lei e le ha detto: “Figliola, non aver più paura del futuro, perché se reciti quattro Pater Noster al mattino presto e molte Ave Maria, non sarai più soggetta a malefici…”

Antonia, moglie di Andrea di Giovanni di Metello, afferma di aver sentito Jacopino, mentre tornava dalla messa, pronunciare queste parole: “L’anima mia è spedita…”.

Su Jacopino vengono riportate altre accuse: avrebbe piantato un chiodo nella radice di un gelso vicino alla casa di Francesca di Francesco Ramella di Brica, causando così l’infortunio della sua stessa figlia, che mentre finalmente rimuovevano quel chiodo emetteva forti urla e suoni bestiali, ma poi si è rimessa; avrebbe minacciato di un maleficio Lucia, figlia di Marco di Brica; ma soprattutto avrebbe insistentemente invitato Angiola, figlia di Bartolomeo di Villa Soraggio, a unirsi a lui in pratiche di stregoneria, promettendole piaceri come musica, canti, balli, cibi prelibati e rapporti sessuali a suo piacimento…

Giuliano di Giovanni, un falegname di Metello, afferma che sua moglie è stata affetta da un maleficio e crede che la colpa sia di Maria di Giovan Antonio frate, perché quando sua moglie incontra questa donna, prova un forte dolore e spavento.

Battista Panini, un giovane di Villa Soraggio, ha una bambina di due anni che è stata affetta da un maleficio e per questo motivo veglia su di lei tutte le notti. Pochi giorni prima, poco prima dell’alba, aprendo la porta di casa, si è trovato circondato da una moltitudine di animali. Secondo lui, quegli animali non erano reali, ma creature malefiche e streghe che volevano far morire sua figlia. Era certo di ciò perché alcune donne esorcizzate avevano detto che quella stessa notte sarebbero andate a casa sua per completare il maleficio iniziato sulla sua bambina. Inoltre, avevano affermato che il maleficio era stato iniziato da tre degli imputati: Lucrezia, Jacopino e Maria di Gian Antonio.

In seguito, sono state presentate altre accuse durante ulteriori testimonianze richieste a Modena tra metà agosto e metà settembre. Queste accuse riguardavano non direttamente gli imputati, ma i familiari di alcuni di loro, in particolare la madre di Jacopino, Filippa, e la madre di Maria di Giovan Antonio frate, chiamata Catalina.

Il 6 luglio, il diligente padre Lunardi ha inviato gli atti relativi agli interrogatori all’Inquisitore generale a Modena, padre Serafino Borra di Brescia. Per evitare fughe, i quattro imputati vengono arrestati e portati a Modena attraverso Castelnuovo e Frassinoro, dove vengono imprigionati a disposizione del tribunale inquisitoriale.

Durante il viaggio verso Modena, un soldato avrebbe raccolto delle confidenze compromettenti da Maria di Francesco Cappa, la quale avrebbe maledetto la co-imputata Maria di Giovan Antonio perché era stata accusata a causa sua. Secondo il soldato, Maria di Francesco Cappa era veramente una strega in quanto aveva conoscenze per curare gli ammalati e si diceva che andasse a cavallo su una capra in un luogo chiamato Pradaria. Inoltre, aveva ammesso che un prete era stato a casa sua a cercare degli unguenti a causa di voci malevole.

Gli interrogatori dei quattro imputati iniziano a Modena il 23 luglio. Tuttavia, prima di riportarne i dettagli, va notato un particolare interessante avvenuto il 21 agosto a Brica, quando un certo Giovanni consegna una lettera all’Inquisitore fra’ Serafino, che era stato invitato da padre Lunardi e forse voleva conoscere meglio la questione, considerando anche i risultati dei primi interrogatori.

La lettera è di grande interesse e fornisce una chiara spiegazione di tutta la vicenda:

“Molto Reverendo Padre Inquisitore,

Voglio informare Vostra Signoria che quei poveretti di Soraggio sono stati portati davanti all’Inquisizione per la malvagità del prete di Soraggio. Il motivo è che i detti accusati da Vostra Signoria hanno detto e parlato di alcune donne che praticavano riti magici e andavano regolarmente a incontrare il detto prete nella sua canonica. Quando questo è stato scoperto, i suddetti poveretti sono stati perseguitati come Vostra Signoria ben sa. Lo comunico a Vostra Signoria perché so che l’Inquisizione non persegue alcuno per vendetta e chiedo umilmente a Vostra Signoria di liberare questi carcerati, sapendo che sono buoni cristiani.”

Non sappiamo quanto peso l’Inquisitore abbia dato a questa lettera, ma è presumibile che abbia contribuito a confermare i dubbi sorti durante gli esami degli imputati a Modena, tanto che la lettera è stata allegata agli atti del processo.

Gli interrogatori dei quattro prigionieri si protraggono per diversi mesi, da luglio fino alla fine di ottobre, iniziando con Jacopino.

Tutti negano fermamente le accuse in tutte le sessioni, anche quando vengono sottoposti alla tortura. La tortura consiste nell’uso della “corda”, che consiste nel sollevare l’imputato da terra con le braccia legate dietro la schiena e applicare rapidamente la corda attorno a una carrucola, causando distorsioni, fratture e altri danni alle articolazioni.

Una delle tre donne, la più anziana, Maria vedova di Francesco Cappa, perde la vita nelle carceri dell’Inquisizione. Non si sa in che misura la sua morte sia stata causata dalla tortura e dalle precarie condizioni carcerarie. La sua morte e sepoltura vengono registrate il 18 settembre.

Gli altri tre, nonostante non abbiano confessato alcun reato, vengono comunque condannati a varie penitenze e punizioni, la più grave delle quali è l’esilio da Soraggio (due anni per Jacopino, un anno per le due donne).

A questo processo si aggiunge un’ulteriore appendice. Nel 1608, nell’ottobre, il rettore don Giovanni presenta una nuova denuncia contro Jacopino e Maria di Giovan Antonio, insieme a una certa Giovanna di Matteo Collecchij di Camporanda, considerata esperta di stregoneria e ritenuta a conoscenza di determinati obblighi che coinvolgono chi partecipa agli incontri delle streghe mangiando il loro cibo.

Tuttavia, questa volta il procedimento non va avanti. Probabilmente, imparando dall’esperienza del processo precedente e dalle reazioni negative che ha suscitato tra i parenti e la popolazione locale (sono state registrate minacce di morte al rettore), l’organizzazione inquisitoriale di Modena ritiene che non ci siano elementi sufficienti per avviare un nuovo processo.

Non sembrano esserci prove sufficienti, viene annotato nei documenti.

L’interesse di questo processo risiede principalmente nel fatto che mette in luce come le credenze legate alla stregoneria e alle confessioni estorte con la

tortura alle “streghe” fossero ampiamente diffuse tra la popolazione dell’epoca. Si credeva che fosse possibile volare al sabba, che esistessero unguenti per trasformarsi in animali e che si potessero ottenere piaceri anche carnali durante il sabba.

Queste credenze, reinterpretate dagli inquisitori e dai giudici laici, sono state sufficienti per condannare al rogo decine di migliaia di persone in Europa tra il 1450 e il 1650, come avvenne anche a Lucca nel 1571 (come viene raccontato nello stesso libro che narra delle “streghe di Soraggio“).

Inoltre, è evidente in che tipo di clima sociale nascessero le denunce che potevano portare alla morte di innocenti, come è avvenuto anche in questo caso, in cui un religioso, forse per coprire uno scandalo in cui era coinvolto, non ha esitato, con la collaborazione di alcuni abitanti del luogo, a far imprigionare, torturare e condannare le anime affidate alla sua cura.

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