La teoria sul biocentrismo di Robert Lanza
Nato nel 1956, direttore scientifico presso l’Advanced Cell Technology e professore aggiunto presso la Wake Forest University School of Medicine, per il New York Times Robert Lanza è il terzo miglior scienziato in vita.
Negli ultimi tempi Lanza ha sviluppato una teoria che prova a spiegare come la vita possa andare avanti per sempre tramite la nostra coscienza: il biocentrismo. È tutto sul suo ultimo libro scritto insieme all’astronomo Bob Berman: “Biocentrism: How Life and Consciousness Are the Keys to Understanding the Nature of the Universe” (“Biocentrismo: come Vita e Coscienza sono le Chiavi per Comprendere la Natura dell’Universo”).
Basata sul secondo principio della termodinamica, questa teoria rivoluzionaria rende possibile l’immortalità.
La teoria di Lanza fa riferimento ad un individuo formato da due elementi: il corpo, che ha le funzioni di un guscio, e la coscienza viva dell’individuo (l’identità di ognuno di noi, il il “chi sono”). La coscienza è una forma di energia che corrisponde a circa 20 watt ed opera all’interno del cervello.
Secondo Lanza, al momento della morte, la coscienza non fa altro che liberarsi dal suo guscio, riciclandosi in un corpo diverso.
Il secondo principio della termodinamica nella teoria di Robert Lanza
Alla base di questa possibilità della coscienza di “riciclarsi” c’è il secondo principio della termodinamica, una delle realtà assolute della scienza.
Secondo questo principio l’energia l’energia non si può né creare, né distruggere, ma solo trasformare.
Se la coscienza è formata da energia, ne consegue che anche in questo caso i 20 watt che la formano non si distruggono, ma si trasformano in altro.
Robert Lanza e la concezione di spazio e tempo
Altra tesi è quella relativa a spazio e tempo. Secondo Robert Lanza infatti, questi due elementi non sono altro che filtri imposti dal cervello alla nostra coscienza. Se diamo questa teoria per vera, ne consegue che non esistono nascita e morte, dal momento che non esistono fattori spaziali e temporali in grado di determinarli.
Il multiverso di Robert Lanza
Se la coscienza non muore, una volta che viene liberata dal guscio esterno (il corpo), dove va a finire? A rispondere a questa domanda è la teoria del Teoria del Multiverso.
In base a questa teoria, che postula l’esistenza di più universi paralleli esterni al nostro spaziotempo, che la coscienza può abitare contemporaneamente, Lanza ipotizza che la coscienza, una volta “libera”, non faccia altro che passare da un universo all’altro per ricominciare un nuovo ciclo.
Il famoso tunnel che molte persone in punto di morte dicono di aver visto potrebbe dunque non essere altro che quel passaggio da un universo all’altro.
La scoperta di una équipe francese
Per la prima volta questa équipe è riuscita a realizzare in vitro un ringiovanimento di cellule prelevate da persone anziane, alcune anche centenarie, dimostrando la possibilità di invertire il processo di invecchiamento cellulare, un concetto affermatosi negli ultimi anni a livello teorico ma che ora ha avuto una conferma sperimentale.
Il caso di un istituto di ricerca in Croazia
Questo istituto ha presentato un ritrovato, definito dalla stampa “l’elisir della giovinezza”, capace di rallentare l’invecchiamento attraverso l’impiego di antiossidanti; sul caso si è aperta un’aspra controversia, dal momento che diversi scienziati hanno messo in dubbio le proprietà dell’Energizer HPE 40, questo il nome, ottenendo in cambio una citazione in tribunale per diffamazione. Insomma, sul tema della longevità è da tempo in corso una rivoluzione silenziosa che nel giro di pochi decenni potrebbe condurre a scoperte clamorose. Ma con il rischio di dare anche credito a molti millantatori.
Dove risiede il segreto dell’immortalità
Negli ultimi decenni, gli scienziati si sono convinti che la soluzione vada cercata all’interno delle cellule. Lì, nel nucleo, dove è custodito il patrimonio genetico di ogni essere umano, avvolto in filamenti del DNA a forma di doppia elica, potrebbe esserci il Santo Graal degli alchimisti medievali. Il settore più promettente fino a oggi è quello che lavora sulla telomerasi.
I telomeri sono parti del DNA posti alle estremità di un cromosoma, e hanno la funzione di tenere insieme la doppia elica per evitare che si sfaldi. Tuttavia, i telomeri sono soggetti a una rapida degradazione: ogni volta che il cromosoma si duplica, seguendo il processo di duplicazione di una cellula, i telomeri si accorciano, fino a “usurarsi” del tutto: in quel caso, la cellula non può più riprodursi e va incontro all’inesorabile destino della morte.
Negli anni ’80 tre scienziati americani, Elizabeth Blackburn, Carol Greider e Jack Szostak, scoprirono però un enzima, a cui diedero il nome di telomerasi, capace di “allungare” i telomeri e quindi in pratica di rigenerarli al termine di ogni duplicazione dei cromosomi. Così facendo, le cellule non sarebbero andate incontro all’invecchiamento e alla morte, ma avrebbero in teoria potuto riprodursi in eterno.
La scoperta era potenzialmente rivoluzionaria, ma si scoprì ben presto un dettaglio agghiacciante: le cellule tumorali erano ricche di telomerasi. In pratica, attraverso tale enzima le cellule cancerogene diventavano immortali, sfuggendo al destino delle cellule ordinarie che solitamente muoiono dopo 80 duplicazioni, a causa – si ritiene – della scomparsa dei telomeri.
Questo spiegava come mai i tumori fossero così resistenti, e le loro cellule addirittura immortali. La scoperta della telomerasi non ci donò la vita eterna, ma garantì alla ricerca contro il cancro una nuova promettente strada da imboccare, tanto che i tre scienziati scopritori dell’enzima sono stati insigniti nel 2009 del Premio Nobel per la medicina.
Telomerasi miracolosa
Mentre i laboratori di ricerca per la cura del cancro stanno oggi cercando di sviluppare vaccini capaci di annullare l’effetto della telomerasi nelle cellule tumorali, allo scopo di far morire queste cellule-killer e garantire una maggiore incisività della chemio-radio terapia e della chirurgia nella regressione dei tumori, l’anno scorso l’enzima ha dispiegato per la prima volta le sue incredibili doti.
Un gruppo di ricercatori del Dana-Faber Cancer Institute di Boston ha impiegato infatti la telomerasi per “ringiovanire” alcuni topi da laboratorio. In realtà non hanno somministrato ai topi l’enzima, ma hanno trovato il metodo per riattivare la telomerasi naturale, quella presente ordinariamente nel nostro organismo.
I topi, invecchiati, hanno reagito in maniera sorprendente: nel giro di un mese dalla riattivazione dell’enzima, la massa cerebrale era tornata ai livelli normali, attraverso la creazione di nuove giovani cellule nervose, il pelo era tornato a crescere e a tornare ai livelli ordinari, i muscoli erano ringiovaniti e nei testicoli erano iniziata la produzione di nuove cellule spermatiche, restituendo ai topi una ricca fertilità. In pratica, una nuova giovinezza.
Nei topi trattati presso il centro di ricerca non sono state osservate cellule tumorali: ciò apre alla possibilità di riuscire a capire come sia possibile utilizzare la telomerasi per ringiovanire l’organismo e incrementare la longevità delle nostre cellule senza trasformarle in cellule tumorali. Se la longevità donata dalla riattivazione della telomerasi naturale non fosse infatti associata all’inevitabile sviluppo dei tumori, come sembra ormai accertato, la speranza di vita media potrebbe salire fino a 200 anni.
L’eterna giovinezza delle staminali
Fino a oggi si riteneva che solo le cellule staminali embrionali potessero riuscire a trasformarsi nei diversi tipi di cellule di cui si compone il nostro organismo: perciò, la ricerca sulle potenzialità mediche delle cellule staminali, capaci di riparare i tessuti di organi danneggiati e magari curare malattie neurodegenerative come l’Alzhaimer producendo nuove cellule neuronali nel cervello, si era concentrata sull’uso delle staminali degli embrioni, scontrandosi con diversi principi etici che ritengono gli embrioni umani dei veri e propri esseri viventi, come tali intoccabili.
Tuttavia, nel 2007 presso l’Università di Kyoto si riuscì per la prima volta a dimostrare che anche le cellule adulte possono essere ritrasformate per diventare cellule “pluripotenti”: in pratica si tratta far regredire queste cellule allo stesso stadio di quelle embrionali, capaci cioè di trasformarsi poi in cellule di diverso tipo, da quelle muscolari a quelle cerebrali e così via. Ciò diventa possibile innestando nel DNA delle cellule adulte quattro geni particolari che si trovano nelle staminali.
Una simile miracolosa soluzione si era però scontrata con l’impossibilità di applicare lo stesso procedimento alle cellule di persone anziane. Qui infatti si deve far fronte all’inesorabile senescenza delle cellule che, come abbiamo visto, dopo un tot di duplicazioni, non riescono più a riprodursi e muoiono.
La nuova scoperta dell’Institute of Functional Genomics dell’Università di Montpellier ha permesso invece di aggirare l’ostacolo: aggiungendo al DNA delle cellule di persone anziane non solo i quattro geni di prima ma anche due proteine specifiche, definite “fattori di trascrizione” perché capaci di far sì che il DNA esprima il proprio patrimonio genetico altrimenti inservibile, è stato possibile trasformare cellule senescenti in nuove cellule staminali pluripotenti. In pratica, i fattori di trascrizione hanno riparato i telomeri ormai inservibili, facendo anche a meno dell’enzima telomerasi.
Nella sperimentazione in vitro, le cellule prelevate da persone anziane fino a 101 anni si sono dimostrate capaci di tornare giovani e di potersi riprodurre trasformandosi in qualsiasi tipo di cellula. Gli scienziati oggi hanno scoperto anche come regolare la trasformazione delle staminali, per esempio “costringendole” a trasformarsi in cellule nervose. In questo modo sarebbe possibile iniettarle nell’organismo umano per prendere il posto delle cellule ormai morte, riprodursi, e restituire al cervello la sua giovinezza. Al cervello, ma non solo: ipoteticamente, questo meccanismo può essere applicato a tutte le parti del nostro corpo.
Alcune variazioni genetiche impreviste presenti in queste cellule, per esempio. E il fatto che le cellule staminali pluripotenti presenti nell’organismo possono essere attaccate dal nostro sistema immunitario, che le riconosce come corpi estranei.
Ma la speranza dei ricercatori è di risolvere questi problemi senza creare difficoltà a livello etico: non sarà necessario cioè estrarre le staminali dagli embrioni umani, ma semplicemente in futuro riprogrammare le nostre cellule adulte indifferentemente dall’età.
La ricerca dell’antiossidante miracoloso
Se la prospettiva del 2030 non vi alletta, al momento le uniche soluzioni più promettenti già disponibili sono quelle degli antiossidanti. L’ossidazione, un fenomeno chimico comune, avviene infatti anche nelle nostre cellule: per poter funzionare, hanno bisogno di acqua e ossigeno, quindi in generale di un enorme apporto di O2, la molecola dell’ossigeno.
Ma, nel corso delle reazioni chimiche che avvengono normalmente nella cellula attraverso questo combustibile naturale, vengono prodotti anche radicali liberi, responsabili del processo di ossidazione. I radicali liberi si combinano facilmente con altre molecole, danneggiandole attraverso la produzione di nuove reazioni chimiche che, in un processo a catena, possono provocare gravi danni all’intera cellula.
Che tipo di danni? Si va dalle lesioni al nucleo cellulare, DNA compreso, ai danni alla membrana cellulare, tramite l’ossidazione dei lipidi; dai danni alle cellule dei vasi sanguigni fino a disturbi gravi come arteriosclerosi, artrite, malattie cardiovascolari e neurodegenerative. In generale, gli ossidanti accelerano il processo di invecchiamento attraverso una più rapida degenerazione delle cellule.
Gli antiossidanti potranno mantenerci giovani e longevi per un po’ ma solo la genetica potrà veramente regalarci l’immortalità. Attraverso gli antiossidanti, è possibile rallentare questo processo e allungare la speranza di vita. Ricerche si concentrano oggi sugli antiossidanti naturalmente presenti nel cibo, sotto forma anche di vitamine, allo scopo di definire diete capaci di incrementare giovinezza e longevità, ma per accelerare il procedimento è necessario puntare su soluzioni maggiormente incisive.
Nel 2006 ricercatori dell’Università Sant’Anna di Pisa hanno dimostrato che la somministrazione del resveratrolo, un potente antiossidante naturale, in un piccolo pesce dalla vita media di nove settimane, ne ha allungato l’età fino al 30%.
Altre ricerche si concentrano sul noto coenzima Q10, usato anche nelle creme di bellezza per ringiovanire la pelle; tutto vero, anche se i risultati sono naturalmente modesti. L’Energiser HPE 40 messo a punto da un’équipe croata diretta dal professor Miroslav Radman dell’Università di Parigi V è un cocktail di diversi antiossidanti la cui potenza, dichiara la casa farmaceutica che l’ha appena messo in commercio, è centinaia di volte superiore a quella degli antiossidanti naturali.
È vero che non ci sono ricerche in merito pubblicate sulle riviste scientifiche, per cui la cautela è d’obbligo. Ma Radman sostiene di utilizzare il ritrovato quotidianamente con ottimi risultati. Quale che sia la verità, gli antiossidanti potranno mantenerci giovani e longevi per un po’, ma solo la genetica potrà veramente regalarci l’immortalità. Per farcene cosa, poi, è tutto da capire.
Le startup che si dedicano allo sviluppo di tecnologie per sconfiggere l’invecchiamento
Nella Silicon Valley, ma non solo, sono sempre più le startup che si dedicano allo sviluppo di tecnologie per sconfiggere l’invecchiamento, le malattie e, da ultimo, la morte.
Stiamo entrando nell’era della “Singolarità“, che l’ingegnere capo di Google Ray Kurzweil ama definire come il “periodo futuro durante il quale il ritmo del cambiamento tecnologico sarà così rapido e avrà un impatto così radicale, che la vita umana sarà trasformata in maniera irreversibile”. Egli è infatti convinto che a partire dal 2029 si potrà diventare immortali grazie alle scoperte scientifiche che ci doneranno l’elisir della vita eterna.
Tra le aziende californiane impegnate nel settore, ve ne sono due di spicco: la prima, la Chan Zuckerberg Initiative, appartenente al fondatore di Facebook e alla consorte, ed è a lavoro nella ricerca per sconfiggere tutte le malattie, innalzare il potenziale umano e promuovere le pari opportunità. Per lo scopo la start up ha a disposizione un fondo di 3 miliardi di dollari.
La seconda, di proprietà di Google, è la Calico (California Life Company), che si sta occupando di una ricerca a lunghissimo termine per contrastare l’invecchiamento, il più grande mistero della vita. Già citata dal Times nel 2013, la Calico sta mantenendo scrupolosamente segrete le sue scoperte, dichiarandosi pronta ad annunciarle al mondo tra i 10 e i 20 anni. A quanto pare, questa segretezza sia nei confronti della stampa che dei colleghi scienziati, è semplicemente dovuta al fatto che la Calico non ha effettuato ancora nessuna scoperta sensazionale.
Nel 2013 Bill Maris, il ceo di Google Ventures che perse il padre per un cancro al cervello convinse il ceo Larry Page e il presidente Sergey Brin a dare vita a Calico, progetto miliardario e segretissimo di “Big O” per allungare la vita. Al quale si aggiunge Verily, altra società del gruppo di Mountain View che progetta e produce sistemi per migliorare la qualità della vita di chi è affetto da malattie croniche, come il diabete o il morbo di Parkinson.
Tra i più eccentrici principi della Silicon Valley, la sfida a scacchi con la morte è terribilmente di moda. Senza scomodare il paradigma degli eccessi, Elon Musk, sappiamo per certo che il fondatore di Oracle, Larry Ellison, ha donato 370 milioni di dollari ai progetti di ricerca per allungare la vita.
Le innovazioni importanti sono in arrivo anche nel settore della medicina: il neurochirurgo Sergio Canavero si è dichiarato pronto ad effettuare il primo trapianto di testa tra la fine di quest’anno e il 2018, un intervento fino ad ora ritenuto impossibile. L’operazione avverrà in Cina con il supporto di un collega fidato, e consisterà nel trapiantare la testa di un donatore sul corpo di un paziente cinese.
Una vera e propria partita a scacchi con la morte
Le società hi-tech che hanno lanciato il guanto di sfida alla mortalità dell’uomo si stanno moltiplicando. C’è per esempio Human Longevity, che utilizza algoritmi per cercare di prevedere – sulla base di un test del Dna – rischi di contrarre cancro o malattie genetiche. C’è Unity Biotechnology, che distrugge le cellule danneggiate grazie al suo prodotto di punta, l’UBX0101: un processo in grado secondo l’azienda biotech statunitense di aumentare la vita media di un individuo del 24%.
C’è anche la molto meno sofisticata Ambrosia, che vuole combattere la vecchiaia attraverso trasfusioni di plasma di donatori tra i 16 e i 25 anni, con risultati però tutti da dimostrare (un’idea per la verità già avuta a suo tempo da Papa Innocenzo VIII, che però il sangue giovane lo beveva anziché farselo iniettare).
Le anime potrebbero diventare digitali
Il miliardario russo Dmitry Itskov (co-fondatore di New Media Stars, una media company russa che negli ultimi quindici anni gli ha permesso di scalare la vetta del successo diventando un milionario di 32 anni abbastanza influente da potersi permettere di investire montagne di denaro in progetti che molti altri liquiderebbero come dispendiosi spari nel buio.), ci sta lavorando da tempo a suon di milioni di dollari.
Entro il 2025 vuole trasformare la scienza in fantascienza, trasferendo il cervello umano su piattaforme software digitali che lo faranno vivere in eterno, senza la schiavitù del corpo biologico e del suo decadimento.
La nostra anima diventata codice binario vivrebbe in avatar robotici immortali ed eternamente giovani. Un sogno accarezzato anche da Kurzweil, ma in termini ancora più estremi: secondo il futurologo di Google la nostra sinergia con le macchine evolverà in modo naturale, culminando alla fine in una dimensione in cui l’umanità diventerà pura energia, in grado di viaggiare a velocità oggi impensabili attraverso l’universo.
Diamo un’occhiata alla sua ipotetica tabella di marcia:
Anno 2020:
Verrano perfezionati questi cyborg privi di sistema nervoso centrale, avranno il nostro aspetto e potremo comandarli a distanza, un po’ come i surrogati de Il Mondo dei Replicanti, sarà come prendere il comando dei sensi di un corpo che si sposta a chilometri di distanza dal nostro. Itskov si dice sicuro che i primi sviluppi di questa tecnologia saranno già visibili entro i prossimi tre anni.
Anno 2025:
Il corpo biologico ha fatto il suo tempo, è un ingombrante appendice che ci ancora a una vita di sofferenza, deperimento e calvizie incipiente, tanto vale isolare il solo cervello, estrarlo dal resto del corpo insieme a un po’ di spina dorsale e trapiantare il tutto in un supporto vitale artificiale (sempre un cyborg dalle fattezze umane, possibilmente), nel quale potrebbe continuare a funzionare ben oltre la normale aspettativa di vita dell’individuo biologico.
Anno 2030-35
È il passo più cruciale dei quattro, quello che segna l’abbandono di ogni residuo biologico: creare una replica digitale del proprio cervello e caricarlo su un computer, che è un po’ quello che aveva immaginato Richard K. Morgan nel suo romanzo Bay City .
Prima che possiate unire quelle sopracciglia nella vostra migliore espressione sarcastica, sentite qua: un ricercatore di nome Theodore Berger è riuscito a sostituire l’ippocampo di un topo con un chip e a dimostratre che i topi a cui questo chip viene impiantato sono in grado di avere una memoria senza bisogno del tradizionale supporto biologico preposto a quella funzione.
Anno 2045
Il traguardo finale scelto da Itskov consiste nell’eliminazione di qualsivoglia tipo di fisicità, consentendo all’individuo di sopravvivere unicamente nella dimensione digitale, senza bisogno di un corpo artificiale, e di manifestarsi all’occorrenza attraverso un’ologramma che raffiguri le ormai scomparse fattezze biologiche.
L’utopia delineata da Itskov promette di porre fine a una serie di problemi che l’uomo si trova ad affrontare sin dall’alba dei tempi: l’inedia, l’invecchiamento, ogni tipo di disabilità, le malattie cardiovascolari, la stanchezza fisica… la morte.
Per realizzare questo “sogno” Itskov ha creato la 2045 Initative , una sorta di movimento che ha come obiettivo concentrare il maggior numero di cervelli (e di investimenti) nella realizzazione dell’immortalità digitale.
“A un certo punto della mia vita, ho realizzato che per quanti soldi potessi avere, per quanto bene potessi vivere, non sarei mai stato felice limitandomi a lavorare e a spnedere denaro.” Ha dichiarato Itskov “Sarei invecchiato e alla fine sarei morto. Ho pensato che ci dovesse essere un obiettivo più profondo.”
Così all’età di 25 anni, il miliardario russo ha avuto una precoce crisi di mezza età che gli ha fatto comprendere che una vita da semplice umano non gli bastava, bisognava puntare all’immortalità. Del progetto 2045 si parla già da qualche tempo e in passato ha già incontrato il favore di alcune personalità di spicco (tra cui il Dalai Lama), ora però sembra essere riuscito a conquistare nientemeno che la creme della comunità scientifica.
Il parere del fisico Leon Kass
Ma siamo sicuri che la vita eterna sia un bene per l’uomo ? questo è quello che si chiede per esempio il fisico Leon Kass, convinto che al contrario sia la mortalità a dare significato alla vita.
Per dare significato e urgenza alle nostre vite è cruciale sapere che non abbiamo abbastanza tempo, spiega Kass, sicuro che nella dimensione dell’immortalità il genere umano diventerebbe apatico e pigro.
Siamo lontani anni luce da Thiel (il miliardario co-fondatore di Paypal). «Tutti dicono che la morte è naturale, che è parte della vita – ha spiegato in un’intervista a Business Insider, ma io penso che niente possa essere più lontano dalla verità. La morte è semplicemente un problema. Che va risolto».
Piccola curiosità: L’aspettativa di vita media alla nascita era di circa 20 anni all’età della pietra. All’inizio del XX secolo era di 40 anni. Oggi di 80 anni. Secondo i transumanisti, potrebbe raddoppiare ancora nell’arco della nostra vita.
L’aspettativa di vita media infatti aumenta di quasi tre mesi all’anno. In maniera esponenziale, ha spiegato David Orban, docente della Singularity University, in un talk a Pi Campus. Significa che ogni aumento è un aumento dell’aumento, non del valore a oggi. Ray Kurzweil, uno dei più accreditati futurologi al mondo, oltre che scienziato e inventore, sostiene che nel giro di sette anni la scienza possa arrivare a portare questa aspettativa di vita a crescere di un anno all’anno.
Ray aveva già previsto dieci anni fa che per il 2017 saremmo stati in grado di portare la crescita dell’aspettativa di vita a 3-4 mesi all’anno. Dal 2022 dovremmo essere in grado di garantirci un anno di vita media in più per ogni anno di ricerca. Nel 2099, ha previsto Ray, il concetto stesso di “aspettativa di vita” sarà divenuto irrilevante per gli esseri umani e le macchine grazie all’immortalità medica e ai computer avanzati.
Con l’aumentare dell’età, però, è noto a tutti che il nostro corpo si deteriora e insorgono malattie come la demenza senile e l’Alzheimer. Fattori che la scienza, tutto sommato, può risolvere. Futurologi e tecno-utopici, partendo dal fatto che tutti noi rimpiazziamo il 98 per cento dei nostri atomi ogni anno, ipotizzano che presto saremo in grado di scaricare dal nostro cervello i dati psichici necessari a ricostruire o addirittura riprodurre il nostro corpo.
Gli studi del biologo ed evoluzionista Steven Austad
L’immortalità purtroppo non sarebbe una cosa facilmente accessibile, almeno stando agli studi del biologo ed evoluzionista Steven Austad. Ha calcolato che, anche eliminate le cause di invecchiamento e malattia, l’uomo avrebbe comunque a che fare con un numero di possibilità di morte che ne ridurrebbero la vita media a “soli” 5.775 anni.
Se ti ammazzano, insomma, muori. Se ti ammazzi, idem, muori. Anche se fossi “immortale”, potresti morire per scelta. Non necessariamente tua.
Il sondaggio del settimanale scientifico inglese New Scientist
La rivista New Scientist ha rilanciato un sondaggio condotto da Sapio Research su un campione rappresentativo di 2.026 adulti del Regno Unito ponendo la stessa domanda: “se ti fosse offerta la possibilità di diventare immortale, l’accetteresti?”. Curiosamente solo un lettore su cinque ha risposto positivamente.
La domanda è ovviamente ipotetica, ma non è del tutto infondata. I gerontologi ritengono infatti che l’allungamento dell’età della vita – se non proprio l’immortalità tout court – sia davvero una possibilità concreta oggi.
Le persone anziane già adesso possono beneficiare di cure e interventi sanitari impensabili alcuni anni fa e diventare centenari non è più un miraggio. Negli ultimi 200 anni l’aspettativa di vita media nell’uomo è infatti raddoppiata nella maggior parte dei paesi sviluppati grazie a diete migliori, sanità pubblica e istruzione. Eppure anche se la scienza ha fatto passi da gigante in questo campo, la gente non sembra esserne così entusiasta.
Chi ha votato al sondaggio si è dimostrato più preoccupato che ottimista: solo il 20 per cento dei votanti vorrebbe non morire mai. Desta perplessità soprattutto il problema della sovrappopolazione e l’idea di un mondo dominato da case di cura per anziani. E se per il 58% del campione è una buona notizia vivere più a lungo, per il 44 % è più importante come diceva una domanda del sondaggio – “accettare i limiti che ci impone la natura“.