LE DIVERSE TEORIE E SPIEGAZIONI RIGUARDANTI IL DEJA VU

“Ho avuto un déjà vu”, quante volte lo hai detto nella vita ?

Ogni volta che hai la sensazione di esserti già trovato a vivere una situazione o di aver già visto il luogo dove sei, senza saperne spiegare il perché, si dice di avere avuto un déjà vu.

Le due parole derivano dal francese, dall’espressione déjà vu, la traduzione più corretta è “già visto”. Il termine è stato creato dallo psicologo, filosofo ed esperantista francese Émile Boirac all’inizio del XX secolo.

 

Ma di che cosa stiamo parlando precisamente ? Sono ricordi di una vita precedente ? C’è davvero qualcosa che ci riaffiora alla mente all’improvviso e senza una ragione particolare ?

Il dejà vu è senza ombra di dubbio una delle esperienze più enigmatiche, bizzarre e diffuse

 

 

Sapevate che esistono altri fenomeni che seguono la stessa logica del déjà vu con qualche piccola differenza ? :

  • Déjà vécu : si tratta della sensazione di aver già vissuto un esperienza.

 

  • Jamais vu : è esattamente il contrario del déjà vu, ossia il fatto di sapere che l’evento è successo, ma non averne alcun ricordo.

 

  • Déjà visité : è la strana conoscenza di un posto nuovo, di una strada che si percorre in una nuova città, sapendo, al tempo stesso, che questo non è possibile.

 

  • Déjà senti : sentire qualcosa e avere la sensazione di averla già sentita. A contrario del déjà vu e del déjà vécu, il déjà senti si riferisce in modo specifico a una sensazione mentale.

 

  • Déjà eprouvé : esattamente « Già provato ».

 

 

 

LE DIVERSE TEORIE E SPIEGAZIONI

 

La spiegazione più probabile ha a che fare con la stanchezza, con un’alterazione della sensibilità che si manifesta con un ritardo tra l’invio e l’elaborazione generale dei segnali sensoriali. Questo fa sì che vengano percepiti in modo sfasato, dando una sensazione di ripetizione, un po’ confusa.

Oppure no, spiega il fisico americano (di origine giapponese) Michio Kaku. Finora dal momento che si tratta di un fenomeno psichico, si è cercata la risposta dentro la mente e il cervello. E forse si è sbagliato. Come si può escludere, chiede il fisico che non si tratti di un fenomeno che agisca in realtà a livello universale ?

 

“Alcuni pensano che il dejà vu si manifesta quando frammenti di ricordi, immagazzinati nel cervello, tornano alla coscienza in modo confuso, richiamati da alcuni tratti dell’ambiente circostante che somigliano a qualcosa che abbiamo già visto e vissuto. In questo modo vengono a sovrapporsi con l’esperienza che si sta vivendo”, premette lo scienziato. “E se invece non fosse un momento di sovrapposizione tra diversi universi?”, si chiede.

Kaku è un sostenitore della teoria del multiverso, che ipotizza cioè l’esistenza di infiniti universi contemporanei e paralleli. Se ci sono infiniti universi allora ci sono infinite versioni di ciascun individuo. Separate, distanti. Ma non è impossibile che a volte qualche anomalia di sistema non provochi distorsioni, come ad esempio i dejà vu.

 

“Facciamo l’esempio di una radio in una stanza: se è sintonizzata sulla Bbc, allora trasmetterà i segnali della Bbc. Ma questo non vuol dire che, nella stessa stanza, non ci siano le frequenze di altre radio, di altri Paesi” e, addirittura, di altri corpi celesti. “Tutte vibrano nella stanza, ma la radio è collegata solo su una stazione”.

E così vale per i nostri cervelli: gli universi paralleli sono nella stanza, ma si è sintonizzati su uno solo. Se ogni tanto capita che, tra i vari segnali radio, ci siano interferenze, allora perché il dejà vu non può essere un tipo particolare di interferenza ?

 

 

 

LO STUDIO DI ANNE CLEARY

 

Una ricerca pubblicata tempo fa sulla rivista “Psychological Science”, ha tentato finalmente di far luce, spiegando che si tratta semplicemente di una sensazione e che non c’è alcun modo di prevedere il futuro.

Secondo l’autrice dello studio Anne Cleary (psicologa cognitiva della Colorado State University), la capacità di previsione degli eventi non è diversa da quella basata sul lancio di una monetina.

 

Non ci trasformiamo quindi improvvisamente in veggenti: se sentiamo che siamo già stati in quel posto o che abbiamo vissuto la stessa scena precedentemente è perché viviamo uno scenario simile ad un vero ricordo, ma non riusciamo a richiamare quest’ultimo alla memoria.

È come quando sentiamo di avere qualcosa “sulla punta della lingua”, quando non ci viene una parola che sappiamo benissimo di conoscere o quando incontriamo una persona fuori dal contesto usuale e stentiamo a riconoscerla: secondo il team di Cleary, questi fenomeni riflettono un certo grado di consapevolezza soggettiva dei nostri ricordi, che però per qualche meccanismo ignoto rimangono fuori della nostra capacità di richiamarli.

 

“Non siamo in grado di ricordare coscientemente una scena precedente, ma il nostro cervello riconosce la somiglianza – ha affermato l’autrice in un’intervista al College of Natural Science.

 

Questa informazione viene fuori, accompagnata dall’inquietante sensazione di essere già stati lì prima e aver vissuto quell’evento, anche se non riusciamo a capire quando e perché. La mia ipotesi è che il déjà vu sia una particolare manifestazione della familiarità. Hai una certa familiarità in una situazione in cui senti che non dovresti averla, ecco perché la sensazione è così forte e impressionante.

 

Alcuni test hanno dimostrato che una somiglianza in grado d’innescare un déjà vu è quella spaziale. Partendo da questo, la psicologa ha cercato di indurre in un gruppo di volontari il déjà vu, provando ad analizzare anche la loro capacità di prevedere il futuro. I volontari si sono cimentati in un videogioco, nel quale veniva chiesto loro di orientarsi in un labirinto.

Le scene che apparivano via via sullo schermo richiamavano altre situazioni spaziali che avevano visto in precedenza, in modo da indurre i déjà vu. Nel momento in cui quest’ultimo affiorava, i soggetti dovevano anche fare una previsione sulla direzione da prendere un attimo dopo.

 

Stando a quanto emerso i partecipanti non erano affatto in grado di prevedere il futuro, anche se erano convinti di poterlo fare, coerentemente a ciò che succede nella vita reale: la svolta corretta per poter uscire dal labirinto veniva indovinata in metà dei casi, in media, esattamente come se tirassero a indovinare.

 

 

 

LA TEORIA DEL TEAM DELL’UNIVERSITÀ SCOZZESE DI SANT’ANDREWS

 

Storicamente lo studio del déjà vu non è stato agevole, a causa della natura imprevedibile del fenomeno che risulta peraltro di breve durata. Per ovviare al problema i ricercatori hanno utilizzato un modo per far vivere questa sensazione anche in laboratorio.

Così, sono stati coinvolti ventuno volontari che hanno ascoltato un elenco di parole in relazione fra di loro (letto, cuscino, notte, ecc..), ma non il termine chiave che serviva a collegarle tutte insieme (sonno). In seguito alle persone è stato chiesto se avessero sentito una parola la cui iniziale fosse la lettera “s”, ma la risposta è stata negativa, così come i partecipanti hanno conseguentemente negato di aver ascoltato il vocabolo “sonno”.

 

Quest’ultimo termine però risultava familiare per i volontari, creando una sorta di surrogato di déjà vu. Per chiarire il mistero è stata usata la risonanza magnetica funzionale (RMF), grazie alla quale si è scoperto che durante l’esperimento erano attive le zone cerebrali legate al processo decisionale e non quelle coinvolte nella memoria, come l’ippocampo.

La conclusione del team è stata che le regioni frontali del nostro cervello stavano verificando i ricordi in memoria inviando un segnale proprio per effettuare un check, a causa di una sorta di divergenza tra quello che si è realmente vissuto e il ricordo invece presente.

 

 

 

IL PARERE DELLA PARAPSICOLOGIA

 

Secondo la Parapsicologia, questo fatto è direttamente associato con la chiaroveggenza o le percezioni di tipo extrasensoriale, e sarebbe quindi l’evidenza che, in generale, tutti abbiamo una qualche capacità psichica che ignoriamo e che non abbiamo sviluppato.

La parapsicologia (più raramente detta metapsichica) è la disciplina che si propone di studiare con metodi scientifici tre categorie di fenomeni anomali: poteri psichici, interazione tra mente e materia e sopravvivenza alla morte. La parapsicologia non è lo studio di ogni fenomeno paranormale, nonostante si occupi di dimensioni e di fenomeni inerenti a processi estranei alle comuni e note leggi fisiche e alle esperienze sensoriali, ma comunque attribuibili alla psiche dell’uomo.

 

Il termine parapsicologia fu coniato intorno al 1889 dallo psicologo Max Dessoir. Il termine fu poi adottato da J.B.Rhine nel 1930 in luogo di “ricerca psichica” al fine di indicare un significativo discostamento dalle metodologie di laboratorio allora utilizzate]

 

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