TUTTI I SEGRETI DELLE MUMMIE

Quante volte abbiamo incontrato le mummie dell’antico Egitto ? Tra film, fumetti, libri e videogiochi fanno ormai parte del nostro immaginario come mostri terribili e dagli immensi poteri.

A lungo il termine mummia è stato riferito solo ai corpi imbalsamati nell’antico Egitto. Dopo la campagna di Napoleone nel 1797-98 dilagò l’«egittomania» e iniziò la ricerca sulle mummie. Oggi si considerano mummie tutti i cadaveri umani e animali nei quali a differenza degli scheletri si sono conservate anche parti molli. Un caso celebre è quello di Ötzi.

 

Lo studio e l’analisi di una mummia permette di ricostruire il contesto in cui hanno vissuto i popoli antichi, per esempio aiuta a capire che cosa mangiavano, che abitudini e anche quali malattie avevano.

Grazie ai metodi più avanzati della bioarcheologia molecolare, attraverso particolari analisi e studi si può far luce sulle patologie antiche e tirare fuori informazioni importanti sull’evoluzione di alcune malattie di oggi.

 

 

 

Perché e in quali condizioni si formano le mummie? 

 

Una mummia si forma quando viene inibito il naturale processo di decomposizione di un cadavere. Questi corpi strappati al ciclo naturale si possono conservare grazie a particolari condizioni chimiche, fisiche e climatiche, dovute a eventi naturali o indotte da procedimenti umani.

Si distingue cioè fra mummificazione naturale casuale, e mummificazione artificiale indotta. La seconda prevede l’utilizzo di tecniche di imbalsamazione o l’esposizione consapevole in un ambiente naturale di mummificazione.

 

 

Come si formano le mummie allo stato «naturale» ?

 

I tipi di mummificazione naturale sono numerosi: si trovano ad esempio mummie nelle caverne, nei deserti, nel ghiaccio, nel sale, nelle paludi e anche in ambienti artificiali creati dall’uomo, come cantine, solai, pozzi di aerazione o ciminiere di centrali elettriche.

L’ambiente deve essere secco e la mummificazione è favorita da una continua corrente d’aria e da una temperatura sostanzialmente stabile.

 

 

Come si formano nelle caverne ?

 

Grazie alla temperatura costante e all’umidità dell’aria invariata: l’oscurità totale pregiudica la proliferazione dei batteri e rallenta la decomposizione degli organismi morti. La circolazione dell’aria attraverso pozzi e crepe secca i cadaveri.

 

 

E nelle zone desertiche ?

 

Nelle zone desertiche fredde e calde, vento e aria secca sottraggono rapidamente i liquidi da un organismo morto. La sabbia desertica spesso ricca di sale e bicarbonato di sodio accelera ulteriormente l’essiccamento.

Non sempre le mummie secche si conservano bene: l’umidità racchiusa all’interno del corpo può favorire il processo di decomposizione e gli organi si possono ridurre in polvere.

 

Quando si è cominciato a mummificare nell’antico Egitto ? 

 

La sabbia del deserto essiccava i cadaveri deposti nelle tombe egizie del periodo predinastico, e tali corpi si mummificavano naturalmente. I primi tentativi di conservazione artificiale di cadaveri si basarono probabilmente sull’osservazione di questo fenomeno.

A partire dal periodo arcaico (intorno al 3000 a.C.) gli egizi costruirono tombe con ambienti non più adatti alla mummificazione, così furono costretti a conservare artificialmente i corpi.

 

Perché gli egizi volevano conservare i cadaveri ?

 

Per motivi religiosi credevano in una vita nell’oltretomba: ma per garantirla il corpo doveva mantenersi integro. Una volta mummificato però per tornare alla vita aveva bisogno di particolari riti (come quello dell’Apertura della bocca) che ne assicurassero la resurrezione e la vita eterna. Doveva inoltre superare le prove descritte in testi come Il libro dei Morti e il giudizio divino.

Ciò che gli Egizi pensavano accadesse dopo la morte è raffigurato nel Libro dei Morti, l’insieme delle formule magiche necessarie a raggiungere il mondo dei morti e ottenere l’immortalità.
Il defunto accompagnato da Anubi è sottoposto al giudizio del tribunale di Osiride, composto dal dio stesso e da 42 dei.
Al cospetto di costoro avviene la pesatura del cuore (psicostasia): il cuore, posto su una bilancia deve risultare più leggero di una piuma, simbolo della dea della Giustizia Maat. Accanto alla bilancia vediamo il dio della scrittura Thot nell’atto di registrare l’esito e un mostro pronto a divorare il defunto in caso di fallimento: si tratta di Ammit, la “Grande Divoratrice”, un essere con la testa di coccodrillo, il corpo di ippopotamo e le zampe di leone. Superata la prova il defunto viene ammesso alla presenza di Osiride che lo accoglie tra i beati.
Foto

Quali tecniche usavano gli egizi ?

 

Erano numerose, descritte tra gli altri da Erodoto. In quella più accurata e costosa gli imbalsamatori servendosi di un ferro ricurvo e di liquidi speciali estraevano il cervello attraverso le narici; poi tagliando l’addome estraevano l’intestino che purificato con aromi veniva deposto in vasi («canopi»), erano vasi con le fattezze dei quattro figli di HoroAmset, la divinità con testa umana, proteggeva il fegato; la milza era affidata a Hapy, dalle fattezze di un babbuino; polmoni intestini erano inseriti rispettivamente nei vasi di Duamutef, con la testa di un canide e Qebehsennuef dalla testa di falco. Gli unici organi lasciati al loro posto erano i reni, troppo difficili da raggiungere, e il cuore, sede dell’anima.

Seguiva la fase di disidratazione con l’immersione del corpo per 35 giorni nel natron (un tipo di sale); i sacerdoti procedevano poi all’inserimento nel cadavere di tamponi imbevuti in aromi e mirra al fine di dare nuovamente forma al corpo e garantirne una migliore conservazione.

 

L’apertura praticata all’inizio del rituale veniva coperta con una placca e la salma, una volta lavata e unta era pronta per il bendaggio: tra le bende di lino precedentemente immerse in resine, erano posti amuleti e formule magiche per facilitare il passaggio nell’aldilà. Il corpo, avvolto in una grande telo, era infine deposto nel sarcofago.

 

 

Ci sono mummie «contemporanee» ?

 

Sì, anche nel XX secolo c’era l’abitudine di mummificare importanti personaggi storici e politici, pensando che l’aura di una persona continuasse a brillare finché il suo corpo rimaneva integro. La salma di Lenin ad esempio si trova in un mausoleo nella Piazza Rossa a Mosca dal 1925.

Eva Perón, la first-lady argentina morta nel 1953, venne imbalsamata, ma le sue spoglie mortali non furono inumate in un mausoleo a causa del golpe militare; l’odissea di Evita si concluse nel 1976, oggi riposa nel cimitero della Recoleta a Buenos Aires.

 

 

La mummificazione è praticata ancora oggi ?

 

Sì, alcuni desiderano conservare le proprie spoglie mortali. I cadaveri vengono ancora mummificati seguendo l’esempio degli antichi egizi. Una tecnica più moderna invece è la plastinazione, nella quale i liquidi corporei vengono sostituiti con molecole di silicone.

 

Fonte: lastampa

 

 

 

I Chinchorro

 

Quelle egizie sono le più famose, non le più antiche: i Chinchorro, un popolo del Sud America, mummificavano i corpi dei defunti già 7.000 anni fa.

I batteri moderni stanno contaminando centinaia di resti dei Chinchorro, un’antica popolazione cilena che mummificava i defunti 2000 anni prima degli egizi. Se non si interviene in fretta i corpi potrebbero ridursi in gelatina. Questa preoccupante scoperta risale al 2015

 

Alcune delle mummie più antiche del mondo si starebbero deteriorando a causa dell’umidità e potrebbero presto ridursi in fango. Il problema della conservazione delle mummie Chinchorro, un’antica popolazione del Sudamerica che mummificava i propri defunti due millenni prima degli antichi Egizi, è noto dal 2015, ma è stato ripreso in questi giorni su alcuni siti giornalistici.

Le autorità che si occupano della loro conservazione hanno fatto appello all’Unesco affinché i resti siano riconosciuti Patrimonio dell’Umanità e possano così godere di una maggiore tutela.

 

Gli oltre 300 corpi mummificati di adulti, bambini e feti abortiti sono venuti alla luce, sin dall’inizio del ‘900, nel sud del Perù e nel Cile settentrionale. Alcuni risalgono al 5050 a.C. e sono a tutti gli effetti i più antichi corpi mummificati mai ritrovati: gli Egizi avrebbero iniziato a preservare le salme dei faraoni soltanto duemila anni più tardi. Inoltre, per i Chinchorro la mummificazione non era una prerogativa limitata alle élite, ma riguardava tutti, bambini mai nati inclusi.

Oltre alla minuziosa preparazione del corpo dei defunti (che veniva privato della pelle e degli organi interni, pulito e riempito di argilla, alghe e ramoscelli, quindi ricomposto e dipinto di nero o ocra), la conservazione di queste mummie si deve anche al fatto che si trovassero sepolte sotto le sabbie del deserto dell’Atacama, uno dei luoghi più aridi del mondo: alcune zone di quella regione non hanno visto una goccia d’acqua in 400 anni.

 

 

Le analisi hanno mostrato che la decomposizione è dovuta all’attività dei batteri che di norma vivono sul nostro corpo, che in condizioni di umidità e temperatura di nuovo normali sono tornati a deteriorare la pelle dei Chinchorro, usandola come fonte di nutrimento.

Un riconoscimento da parte dell’Unesco costituirebbe un primo passo per sollevare l’attenzione sul problema della loro conservazione.

Quando però le mummie sono state spostate nelle varie istituzioni archeologiche, le cose sono cambiate. Un centinaio di esse ha iniziato a degradarsi in una consistenza semi gelatinosa.

 

Fonte: focus

 

 

Il segreto delle 3mila mummie naturali italiane

 

Le mummie in Italia sono quasi 3.000. Nessun altro Paese europeo ne ha così tante. Per la loro perfetta conservazione sono di grande interesse scientifico perché sono perlopiù naturali, ovvero i corpi dei defunti si sono mummificati spontaneamente, senza l’intervento dell’uomo (come invece nell’arte della mummificazione degli Egizi).

Sono mummie del tutto naturali per esempio quelle ritrovate a Ferentillo, in Umbria, o a Venzone, in Friuli.  In questi luoghi le salme venivano sepolte sottoterra nelle casse oppure in sudari, e quell’ambiente favoriva la conservazione dei corpi.

«Il terreno assorbe naturalmente i liquami cadaverici. Inoltre, sostanze chimiche come mercurio, piombo, arsenico, possono inibire o quasi il processo di decomposizione», spiega Dario Piombino-Mascali, antropologo dell’Università di Vilnius (Lituania).

 

La maggioranza delle mummie naturali italiane, scoperte e studiate ancora oggi soprattutto in Sicilia, Campania e Puglia, sono le cosiddette mummie naturali indotte, e sono la conseguenza del rituale funerario della doppia sepoltura, in uso soprattutto nei conventi dei Cappuccini.

I religiosi infatti non mettevano i fratelli defunti nei cimiteri ma nelle cripte delle chiese. E quando, alla fine del Cinquecento, si accorsero casualmente che i corpi di 45 confratelli sepolti nella Cripta del Convento di Palermo si erano mummificati naturalmente grazie all’ambiente che essiccava i corpi invece di decomporli, cominciarono a sfruttare questo processo naturale di mummificazione per altri cadaveri.

 

 

 

I COLATOI

 

Innanzitutto mettevano i cadaveri nei cosiddetti colatoi, strutture architettoniche che servivano a far defluire spontaneamente i liquami del corpo. In seguito posavano queste salme in stanze dove correnti d’aria, assenza di umidità e temperatura costante consentivano una conservazione a lungo termine.

 

Quindi dopo otto mesi o un anno «le mummie venivano lavate, e i buchi della pelle tappati con sostanze vegetali per garantire la conservazione. Infine venivano vestite e sistemate in posizione eretta, appese al muro o sdraiate nelle casse e disposte per categorie: frati con frati, medici con medici, donne con donne», aggiunge Piombino-Mascali, anche conservatore scientifico delle Catacombe dei Cappuccini di Palermo.

 

Oggi nelle Catacombe di Palermo sono custodite circa 2mila mummie. Ma nelle chiese e nei conventi della nostra penisola ce ne sono almeno ancora mille.

 

 

TUTTI I SANTI

Inoltre altri esempi di defunti che si sono conservati naturalmente sono i corpi incorrotti dei Santi. Sono più di 100 e sono molto cari alla devozione popolare.

 

«Tra i tanti che riposano nelle Chiese d’Italia, citiamo ad esempio Santa Zita a Lucca, il Beato Antonio Patrizi da Monticiano (Siena), il Beato Antonio Franco di NapoliSan Benedetto il Moro a PalermoSanta Eustochia da Messina, accompagnata dalla sua amica Suor Jacopa Pollicino», conclude Piombino-Mascali.

 

Fonte: focus

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.