IL CASCO DI DIO

Il termine “razionale” viene spesso usato in modo improprio. Di per sé, non indica una categoria specifica. La razionalità è un concetto flessibile che può portare a visioni sorprendenti o imprigionare in strutture di pensiero rigide e intrappolanti. Tutto dipende dalla qualità della razionalità, che è ampiamente influenzata dall’approccio che si adotta.

Ognuno di noi è razionale, e potrebbe esserci una razionalità anche nel mondo animale, con le sue limitazioni. L’interpretazione del termine “razionale” si muove attraverso complesse reti sinaptiche in modi molto vari, talvolta anche in contraddizione tra loro.

Il punto cruciale è che alcuni sviluppano una razionalità “orizzontale”, caratterizzata da una grande quantità di informazioni organizzate in modo meccanico e spesso accompagnata da un senso di autocompiacimento che limita ogni apertura a nuove prospettive. Non importa se si tratta di storia, arte, biologia, fisica o altre discipline; ciò che conta è la propensione a strutturare il pensiero in modo sequenziale e vincolato, simile ai processi di produzione delle macchine.

Al contrario, altri sviluppano una razionalità “verticale e obliqua”, caratterizzata da salti intuitivi anziché meccanismi aritmetici orizzontali. Questo approccio verticale spesso entra in conflitto con il pensiero meccanico. A differenza dell’approccio orizzontale, che si accontenta di risultati dimostrabili facilmente ma limitati, il pensiero verticale non garantisce sempre il successo, ma è l’unico in grado di portare a vere intuizioni cognitive avanzate.

Un collezionista di Milano, durante la sua visita al mio studio, ha espresso qualcosa in cui credo profondamente. Affermava che le intuizioni più potenti provengono principalmente da persone autodidatte. Aggiungerei che ciò vale anche per coloro che hanno un rapporto conflittuale con gli studi, evitando di farne una pratica noiosa e meccanica, bensì un’esperienza ricca e stimolante. L’intelligenza orizzontale, spesso associata alla burocrazia intellettuale, sembra mirare più a cercare riconoscimento facile dagli altri piuttosto che a una vera sete di scoperta.

Un esempio interessante in questo contesto è la ricerca di Michael Persinger, un neuroscienziato noto per lo sviluppo del “casco di Dio”. Questo casco, originariamente chiamato “casco di Koren” dal suo primo creatore Stanley Koren, è un semplice casco da motoslitta con due solenoidi che emettono leggeri campi magnetici. Indossato da una persona in un ambiente isolato, senza stimoli esterni, produce un campo magnetico leggero sul lobo temporale. Questa stimolazione induce la percezione di presenze, e in alcuni casi, le persone riescono a descrivere il numero e la posizione spaziale di queste presenze.

Durante l’esperimento, si sono verificate sensazioni come “uscire dal corpo”. L’esperienza, da un punto di vista conoscitivo e medico, è affascinante. La capacità del cervello di sintonizzarsi su forze invisibili, ma presenti e “corporee”, e di reagire generando percezioni di vario genere, è un campo di studio intrigante.

Tuttavia, questi sono solo dati empirici e non spiegano il motivo per cui tali fenomeni si verificano. Persinger ha interpretato i risultati utilizzando una logica che definisco “razionalità orizzontale”, simile a un rebus enigmistico settimanale. Questo tipo di razionalità può essere complesso nelle deduzioni, ma è limitato nel suo approccio sequenziale e vincolato, mancando la capacità di portare a vere novità, intrappolandosi in un labirinto senza nuovi orizzonti, come un animale addestrato in cerca di cibo premio.

Secondo Persinger, i risultati degli esperimenti mettono in discussione gli stati caratteristici nelle esperienze mistiche, come la percezione di presenze, rivelazioni, catarsi e trasporti spirituali. Egli ritiene che tutto ciò che viene attribuito a un’attività spirituale o extrasensoriale sia il risultato dell’influenza sul cervello di perturbazioni elettromagnetiche, che possono verificarsi occasionalmente. Questo ragionamento segue un approccio aritmetico lineare, organizzando gli elementi uno dopo l’altro e trae conclusioni che non vanno oltre i dati empirici.

L’interpretazione di Persinger non considera che i dati sperimentali mostrano semplicemente una modalità di interazione del cervello, evidenziando la capacità del nostro corpo di percepire ciò che è visibile e non visibile, ma sempre di natura corporea. Tuttavia, questa visione orizzontale non si spinge oltre il dato e non offre una sintesi che esca dal labirinto logico, mancando di un salto cognitivo.

La razionalità orizzontale ci informa di ciò che già sappiamo: ci sono dati, hanno una certa forma e seguono una certa scansione temporale. Ma dal punto di vista cognitivo, non offre nuove prospettive. Affermare che la nostra vita extrasensoriale o spirituale sia il risultato aritmetico della fisiologia cerebrale sottoposta a stimoli equivale a confondere in modo arbitrario gli effetti con le cause. Se le dimensioni percepite a causa del casco sono artificiali, ciò non esclude l’esistenza di dimensioni reali e concrete che generano la stessa percezione.

Se Persinger avesse considerato una dimensione verticale, avrebbe potuto comprendere che aveva dimostrato un fatto profondo e toccante: se esiste un Dio, si manifesta attraverso la dote data al nostro corpo di reagire a quel delicato campo magnetico, come una carezza dentro la nostra carne.

Le riflessioni sul “casco di Dio”, le diverse direzioni della razionalità e la loro netta separazione nelle facoltà cognitive umane, compresa la sfera spirituale, possono aprire la strada a ipotesi interessanti. L’intelligenza orizzontale e verticale conducono a mondi radicalmente diversi e influenzano comportamenti totalmente differenti, evidenziandosi nel nostro modo di vivere, interagire e partecipare alla società. Queste non sono solo modalità cognitive che si manifestano nel momento in cui vengono utilizzate, ma rappresentano porte d’accesso a visioni complessive della realtà completamente differenti.

Il filo conduttore che lega questo tema centrale della razionalità al dilemma iniziale presentato dalla storia simbolica riguardo all’intelligenza come forma di opposizione e ribellione al divino è significativo. Il concetto di “peccato originale” rappresenta un enigma cognitivo fondamentale nella storia umana, collegato alla natura del bene e del male e, a mio parere, intimamente legato alla natura della razionalità.

Forse il frutto con il quale il serpente tenta gli abitanti del Giardino primordiale non simboleggia la conoscenza in sé, ma piuttosto una conoscenza “orizzontale”, legata a una razionalità meccanica che esclude i salti cognitivi e, di conseguenza, Dio e la sua presenza originaria. Questa visione richiama le affrettate conclusioni di Persinger riguardo ai risultati sperimentali ottenuti con il “casco di Dio”.

Il peccato originale rappresenta un amalgama iniziale tra razionalismo e riduzionismo. La mela simboleggia l’intelligenza orizzontale, parziale, escludente, basata su un’analisi puramente aritmetica della realtà. La sua stessa natura esclude la visione verticale, la comprensione globale del Giardino. Una volta simbolicamente consumata, la mela genera immediatamente categorie che illudono di comprendere la realtà, apparentemente legate saldamente al reale.

La mela crea il labirinto orizzontale, privo di elevazione, che esclude una visione d’insieme, una conoscenza completa. Questo labirinto è quello della logica strutturata, priva della capacità di compiere salti cognitivi. La tentazione di dimostrare la validità del proprio processo logico facendo leva su parametri gestibili a distanza ravvicinata è forte, ma ciò rivela una profonda cecità di fondo.

Mangiare la mela della razionalità orizzontale significa abbandonare la possibilità di realizzare appieno la nostra umanità, funzionando secondo logiche tutto tranne che lineari. Fortunatamente, rinunciare consapevolmente alla speranza di realizzare il nostro destino significa degradarsi, separarsi dal Giardino in nome di una conoscenza che crea divisione anziché unione.

Il “peccato” originale è stato proprio questo: scegliere di vivere nella realtà come cavie da laboratorio, tanto impegnate nella risoluzione progressiva di problemi e test da perdere la percezione della possibilità di salti cognitivi e di una visione d’insieme. La visione d’insieme, rappresentata dal Giardino, non segue logiche aritmetiche. È un territorio incoerente, apparentemente non ortodosso, la cui comprensione richiede sfide cognitive che possono essere affrontate solo con una scommessa continua, intuibile ma sconosciuta, rispondente a una “matematica del mistero”, se vogliamo chiamarla così.

Non esiste alcuna contraddizione tra intelligenza e divino. In alcuni momenti storici e ancora oggi in alcune sottoculture, il sapere è visto come un’interferenza nell’ascesi, come un tentativo di comprendere ciò che non può essere compreso e quindi come un tentativo di “essere Dio”. In realtà, l’intelligenza è parte integrante del Giardino e dei suoi abitanti, a condizione che sia un’intelligenza verticale, il vero strumento per realizzare la nostra umanità.

L’esclusione dal Giardino non è una punizione inflitta da un arbitro intransigente per una scorrettezza di gioco. L’esclusione coincide con la scelta della razionalità orizzontale, che degrada gli esseri umani a semplici meccanismi e li tenta solo perché dà loro l’illusione di controllare e poter essere controllati.

Non credo che si possa scegliere il tipo di intelligenza. Forse non è nemmeno un processo volontario. Ciò che è volontario è l’esibizione della razionalità come teoria di informazioni legate tra loro, uno strumento di controllo, potere e narcisismo. Rivendicare una conoscenza che si crede assoluta solo perché è limitata è un problema simile a quello delle geometrie euclidee e non euclidee.

Con Euclide, possiamo costruire un muro, il che è significativo. Tuttavia, non possiamo affatto sollevare la testa per contemplare l’universo, un concetto che Euclide, rappresentante dell’intelligenza orizzontale, rappresenta solo in minima parte. La mela simboleggia la tentazione pericolosa di considerare un particolare come l’intero, rinunciando alla fiducia nella scommessa cognitiva che permette di contemplare il Giardino della nostra realizzazione e di quella degli altri.

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