Formatasi a 260 chilometri dalla capitale Ashgabat, è situata non lontano dal villaggio di Derweze che, per una curiosa coincidenza, in lingua turkmena significa proprio “porta”.
Al contrario di quanto si possa pensare, la Porta dell’Inferno non è un fenomeno naturale. Questa spettacolare voragine grande quanto un campo di calcio brucia dal 1971, da quando cioè un gruppo di geologi sovietici si mise a trivellare il suolo alla ricerca di petrolio.
Proprio nel posto in cui avevano iniziato a cercare idrocarburi, c’era una gigantesca caverna prodotta dall’erosione dell’acqua, di cui non si sapeva nulla.
Poco dopo l’inizio dei lavori, le trivelle raggiunsero una sacca di gas naturale, il tetto della caverna crollò, inghiottendo le attrezzature degli scienziati.
Si formò così un avvallamento largo circa 70 metri e profondo fino a 50.
Fortunatamente, l’incidente non causò vittime tra i geologi, sebbene si sia ipotizzato che la grande quantità di gas sprigionatasi nei primi tempi possa aver determinato la morte di alcuni abitanti dei villaggi vicini.
Per evitare che gas velenosi come il metano fuoriuscissero dal sottosuolo, i sovietici decisero di innescare un incendio, sperando che nell’arco di pochi giorni il fuoco avrebbe consumato tutto il gas combustibile presente nella caverna e la zona sarebbe tornata sicura. Ma così non è stato.
Da ormai molti anni quella che è stata ribattezzata “Porta dell’Inferno” continua a bruciare, tanto che tra la gente del posto si è diffusa la credenza che si tratti di un fenomeno soprannaturale.
Nessuno sa quanto gas sia bruciato finora, né per quanto tempo ancora continuerà a bruciare. Quel che è certo è che il cratere è oggi una delle principali mete turistiche del Turkmenistan.
Il bagliore che nasce dalla voragine è visibile, di notte, da chilometri di distanza, e lo spettacolo è incredibilmente suggestivo.
Sono decine di migliaia i visitatori che ogni anno accorrono per pubblicare su Internet foto e video della caverna che brucia senza sosta, nonostante il forte odore sulfureo generato dalla combustione.
Spedizione finanziata dal National Geographic
Nel 2013 a seguito di una spedizione finanziata dal National Geographic e la compagnia di viaggi Kensington Tours, l’esploratore George Kourounis si cimentò in un’impresa particolarmente impegnativa calandosi all’interno del cratere per misurarne le dimensioni reali.
Grazie alle sue rilevazioni è emerso che il cratere è largo circa 69 metri e profondo 30. Kourounis, inoltre, raccolse dei campioni di suolo, al fine di scoprire se la vita potesse sopravvivere in condizioni così estreme.
Poté quindi constatare che alcuni batteri riuscivano a sopravvivere anche nonostante le altissime temperature e un ambiente saturo di gas metano. Un’altra scoperta decisamente curiosa riguarda il fatto che questi batteri non furono trovati in nessuno dei terreni circostanti al di fuori del cratere.
Fonti: siviaggia